Kalahari. Il deserto nel cuore della Namibia

Il Deserto del Kalahari in Namibia è stata la prima tappa del mio viaggio (trovi qui tutto l’itinerario). Il primo assaggio dei colori, delle mille sfumature di polvere, degli animali e dei tramonti della Namibia. Un ottimo modo per iniziare a conoscere questo paese e i suoi paesaggi.
Kalahari. Nel deserto rosso della Namibia


Il Kalahari si trova nella zona più interna del paese, a qualche ora di macchina a est di Windhoek. Così le mie primissime ore in Namibia le ho passate in macchina per raggiungere il deserto dall’aeroporto della capitale. Questo primo viaggio in auto è stato speciale, intriso del senso di novità e di aspettativa che c’è sempre all’inizio di un viaggio. Mi ha dato una dimostrazione pratica di quanto immensi possano essere i paesaggi della Namibia e di quanto velocemente possano cambiare. Ho assaggiato il vero isolamento geografico, il senso di libertà e meraviglia che da sfrecciare in macchina nel deserto punteggiato da antilopi e zebre, senza vedere traccia umana se non quella strada sassosa.
Dove dormire nel Kalahari in Namibia
Siamo arrivati al nostro lodge, lo Zebra Kalahari Lodge, nel primo pomeriggio ed è stato veramente sorprendente. Non mi aspettavo tanto lusso, comfort e una location così bella. Non sono certo abituata a strutture di così alto livello! È stato il piacevole e gratificante premio per aver sopportato il mio caro babbo h24 per 10 giorni.
La mia camera era più grande del mio appartamento a Firenze, elegante e curatissima, con l’indispensabile aria condizionata, un patio di fronte alla piscina, un bagno enorme e una doccia esterna con vista sul Kalahari. Persino i prodotti da bagno erano fantastici e c’era pure il repellente anti-zanzare profumato al legno di sandalo.

Al ristorante dello Zebra Kalahari Lodge ho assaggiato per la prima volta quei sapori che poi sono diventati una costante del viaggio: come la carne di springbok, una piccola antilope molto comune, tanto brava a zompare e a resistere al clima arido quanto gustosa una volta arrostita. Antilope arrosto a parte, vale la pena cenare qui solo per la location: una terrazza che si affaccia sul deserto, a lume di candela e con un servizio e una cucina degni di un ristorante stellato europeo.

Safari nel deserto del Kalahari

Il lodge ci ha anche prenotato l’escursione del pomeriggio, un safari in jeep con una guida locale e aperitivo al tramonto, tra le dune del deserto, all’interno dell’enorme riserva privata in cui si trova la struttura. Non vedevo l’ora di fare questa attività perché è stato il mio primo safari in assoluto. A posteriori il safari all’Etosha National Park è stato decisamente più emozionante per via degli incontri con gli animali più rari e più impressionanti (rinoceronti, leoni, leopardi, iene…). Ma la ricchezza del paesaggio del Kalahari, i suoi colori accesi che si alternano in linee orizzontali, le sue grandi acacie cariche dei nidi giganteschi dei tessitori sociali, sono impagabili.

Il paesaggio è unico e caratteristico: lunghe strisce parallele di dune rosso fuoco striate dal vento, alternate a avvallamenti coperti di vegetazione. Le dune sono più alte delle radure erbose, così attraversare il deserto in jeep diventa una continua sorpresa. Ogni duna rossa nasconde fino all’ultimo secondo quello che è celato dietro di essa: animali, piante magnificamente contorte, altre dune di nuove sfumature di rosso…


Nel Kalahari ho visto moltissime zebre, struzzi, springbok, orici e gazzelle varie, gli adorabili suricati e molti altre piccole specie erbivore, ma nessun grande animale o carnivoro, ma questo è dovuto al fatto che ero all’interno di una riserva, dove le specie presenti sono controllate dall’uomo. Nessun carnivoro appunto, a parte il povero leone finale, ma secondo me non conta. Una vecchia leonessa solitaria, relegata in una parte recintata della riserva, annoiata e nutrita dalle persone perché è ormai sdentata e non può più cacciare. Mi è dispiaciuto molto per lei, non credo che sia una buona vecchiaia per una leonessa.

Il safari nel Kalahari (nonché il mio primo giorno in Namibia) si è concluso alla grande con un aperitivo allestito dalla guida su una soffice duna, di fronte al tramonto. Lo spettacolo della luce del sole che illuminava di sbieco le dune, infiammate dagli ultimi raggi, è una delle immagini più vive che ho di tutto il mio viaggio in Namibia.
L’incontro con i Boscimani
Inclusa nel soggiorno del lodge c’era anche un’altra attività in programma per la mattina successiva: una passeggiata nel deserto con un gruppo di Boscimani che ci avrebbero illustrato il loro stile di vita tradizionale. Ora devo per forza spendere qualche parola su questo popolo:

I San (chiamati anche Boscimani, ma non è un termine corretto) sono una delle etnie più antiche del mondo, cacciatori-raccoglitori perfettamente adattati alla vita in uno dei deserti più grami del globo da oltre 20mila anni. Negli ultimi secoli i governi locali (Namibia e Sud Africa) hanno fatto di tutto per costringere i San ad abbandonare il loro stile di vita nomade e di sostentamento, a favore di un ruolo da emarginati nella società “civile”. Solo negli ultimissimi anni sono stati presi provvedimenti per tutelare il loro stile di vita tradizionale, ma il risultato è che ormai la maggior parte di loro lo ha già abbandonato e vive in villaggi permanenti poverissimi.
Alcuni di loro indossano temporaneamente le vesti di pelle dei loro babbi, prendono in mano arco e frecce e mostrano millenni di esperienza di vita dei Boscimani condensata in un’oretta per i turisti. Sono rimasti ormai in pochissimi a condurre ancora una vita nomade nel deserto e a vivere dei suoi scarsi e preziosissimi frutti.

Sapendo questo non ero tanto convinta di questa attività, mi sembrava assai poco autentica. Ed in effetti non ha certo brillato per autenticità, però ammetto che è stata molto interessante. I San parlano una lingua dei clic, curiosa e unica, piena di suoni come clic e schiocchi, la nostra guida faceva da interprete e commentava quello che i Boscimani stavano facendo. Ad esempio trovare l’acqua e conservarla sotto terra, cacciare piccoli animali e insetti, procurarsi bacche e radici. Metodi talmente ingegnosi e semplici allo stesso tempo, che fanno capire quanto sia estrema la sopravvivenza nel Kalahari.
Penso che sia un peccato che quei ragazzi non possano più vivere come i loro padri, ma non è certo colpa loro, adesso sono in questa condizione e devono lavorare e campare. Farlo raccontando le proprie tradizioni e origini ai turisti forse non è poi così male.
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Infatti è un dilemma: stavano meglio i padri o i figli? Non saprei dire e forse loro ti direbbero che stanno meglio oggi. Almeno così tramandano una conoscenza che altrimenti andrebbe perduta!
Bel racconto da una zona che purtroppo non ho potuto vedere per mancanza di tempo!